di Paola Maraone
Mi aspetta in un loculo (definirlo camerino è sbagliato) di due metri per due, in attesa di andare in onda ospite di una trasmissione tv, seduto davanti a un cappuccino che ha tutta l’aria d’esser freddo. Mi vede e si alza di scatto, mi stringe la mano, butta lì una battuta. Penso: tutto qua? Lo credevo più alto, minaccioso e incombente. Più sgarbato. Noel Gallagher, che la stampa ha sempre fatto passare per volgare e intrattabile, in una domenica mattina di sole a me appare come un 45enne spiritoso, in bilico tra l’ingenuità e il genio, che ancora (e chissà per quanto) si ostina a indossare giacche di pelle e a recitare la parte dello scorbutico, prigioniero dell’espressione truce da ex cattivo della working class di Manchester. Vent’anni fa esatti ha fondato gli Oasis, tutte le carte in regola per essere i nuovi Beatles: ma lui e il fratello minore Liam sono sempre stati la versione deteriore della coppia Sandra-Raimondo, scivolando su un piano inclinato — lenti e inesorabili — dai battibecchi fino all’odio profondo. La band si è sciolta due anni fa, dopo 55 milioni di dischi venduti e un litigio colossale a Parigi, prima della fine di un tour: «Con un po’ di tristezza e molto sollievo», sospira Noel. «Ma non voglio più parlarne».
Parliamo allora del suo album solista, Noel Gallagher’s High Flying Birds.
L’espressione “solista” mi mette in crisi. Ho sempre amato starmene defilato, anche sul palco. Con mio fratello a fare da frontman era possibile, adesso no.
I biglietti del suo tour inglese, che sta per cominciare, sono andati esauriti in sei minuti: mi pare un buon segno.
Forse. Ma io nella vita ho fatto tutto al contrario: prima gli album da 20 milioni di copie, ora un disco che chissà se qualcuno comprerà. Prima i live davanti a 40mila persone, ora i concerti in teatro.
Un po’ come con sua moglie: prima avete avuto i figli, poi vi siete sposati.
Ma sposarmi è stata una mia decisione, avviare una carriera solista no.
La contraddico: è stato lei ad annunciare che lasciava il gruppo.
Non avrei potuto sopportare la violenza di mio fratello un giorno di più. Ma rimpiango che sia finita così, una sera, in un prefabbricato di Parigi. Rimpiango di non aver fatto quell’ultimo concerto.
Ha detto che non voleva parlarne.
Ha ragione. Però lo scioglimento degli Oasis è una gran rottura. Una ferita aperta su cui qualcuno versa sale di continuo.
Ho una curiosità insopprimibile: è vero che quella sera suo fratello le lanciò una prugna?
Sì, e la prugna si spiaccicò sul muro alle mie spalle. Pensai: è surreale. Possibile che finisca così? Con una prugna?
Poi che successe?
Mio fratello andò nel suo camerino, prese una chitarra e mi lanciò anche quella. Pensai: meglio esser feriti da uno strumento che da un frutto. Poi notai Andy Bell, il nostro chitarrista: se ne stava lì ad allacciarsi le scarpe e non interveniva. Mi dissi: ma come, la band gli esplode attorno e lui non reagisce?
Che fece, allora?
È stato uno di quei crocevia esistenziali in cui ti trovi a rispondere a questioni importanti: “devo divorziare?” o “dovremmo fare un altro figlio?”. In quel caso: “dovrei lasciare la band?”. Mi sono risposto di sì in quell’istante. Sono tornato in hotel dal manager e gli ho detto: ho chiuso.
Adesso come sta?
A tratti mi chiedo: le cose avrebbero potuto essere diverse? Riuscirò a replicare il successo di un tempo? So che la risposta è no, ma va bene. Il successo può farti impazzire. Lo conquisti, ma poi devi riuscire a tenertelo e continui a torturarti con la domanda: perché ho venduto 20 milioni di copie con quel disco e un decimo con il successivo? La fama è più facile: è una conseguenza del successo, ti rotola semplicemente addosso.
Lei che rapporto ha con la fama?
Mi piace perché non devo fare niente per meritarla. Vado al ristorante e la gente dice: «Wow, è Noel Gallagher». È una cosa sicura come poche altre nella mia vita.
Cosa si aspetta che succeda, adesso?
Sono incerto e indifferente. Ho dato il meglio di me: se il disco vende un milione di copie o 10mila, questo non aggiunge né toglie nulla al suo valore. Riguardo al tour, esorcizzo l’ansia immaginando di poter scappare quando voglio. Posso sempre dire che mi sono rotto un dito.
I Beady Eye, la nuova band di suo fratello, non hanno avuto un esordio brillante. Il suo primo singolo, The death of you and me, invece è schizzato in cima alle classifiche. Le fa piacere?
Se rispondo di no sembro un bugiardo, se rispondo di sì un bastardo. Preferisco
dire che la mia musica è diversa dalla loro. Meno rock’n’roll.
Come la definisce?
La malinconia nella felicità.
Non sono sicura di seguirla.
Perché non è inglese. Noi inglesi siamo specializzati in questo. Se anche fuori splende il sole, il nostro sguardo fugge in cerca della pozza di fango.
È più difficile scrivere canzoni adesso che la sua vita è più facile?
A 25 anni scappavo da un’infanzia tormentata, un padre violento, una serie di reati minori. Non avevo soldi, m’immedesimavo facilmente nei miei coetanei e loro in me. Oggi non conosco tanti 45enni rockstar o anche solo rockettari. Però ho imparato a scrivere d’altro: tristezza, gioia, amore, senso di appartenenza.
Dal vivo suonerà qualche vecchia hit?
Sì ma gliene dico solo una: Don’t look back in anger.
«Non guardare al passato con rabbia»: mi pare un bellissimo messaggio.
Guardi che sono 15 anni che lo lancio, questo messaggio.
Ok, decido di crederle. Dunque lei è quello sano e suo fratello il matto.
Forse siamo matti entrambi: ma è un fatto che per anni, mentre io componevo fino all’alba, lui girava per feste. L’ho sempre trovato violento e accusatorio e sono riuscito a ignorarlo pensando che la cosa importante fossero le canzoni. Per lui, invece, l’importante era il casino.
Se andassi a intervistarlo, direbbe la stessa cosa di lei?
Forse, ma con molte parolacce in più.
In effetti esco da quest’intervista un po’ delusa. Voi Gallagher siete famosi per il turpiloquio, ma lei si è comportato come un baronetto.
Forse sto invecchiando. O forse lei mi è simpatica (ride).
Perché nelle foto ha sempre quell’espressione seria? Ridere le dona.
Rido solo se qualcuno mi fa ridere.
È la stessa risposta che ha dato suo fratello a un mio collega.
Aiuto. Be’, siamo proprio due Gallagher.
Cosa farebbe se i suoi figli, da grandi, si comportassero come lei e suo fratello?
Mi sanguinerebbe il cuore. Ma non prenderei le parti di nessuno.
(gioia.it, 20 ottobre 2011)
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