mercoledì 12 giugno 2019

Liam Gallagher a Taranto con il calore del Sud: la recensione di Federico

Sono le 15.30 dell'8 giugno quando l'afa di Taranto, la prima afa estiva di questo 2019 dopo un maggio incerto, ci accoglie. La brezza marina sembra non potere nulla contro quel caldo opprimente. Manca qualche ora all'attesissimo, agognatissimo show di Liam Gallagher nella città dei due mari, a suo modo storico, dato che per la prima volta da quando è solista l'ex Oasis è di scena a sud di Roma (solo un'altra volta, a Taormina con gli Oasis al Festivalbar 2002, si era esibito nel Mezzogiorno d'Italia).  Qualche foto-ricordo e poi via dritti in fila, dove si trovano e si ritrovano amici, si raccolgono sensazioni, si respira l'entusiasmo per un evento che - lo si percepisce dalle primissime battute - avrà qualcosa di irripetibile. La tensione si taglia a fette eppure l'atmosfera è rilassata, placida, la gente avverte l'importanza del momento. In fila l'età è varia, ma la media è forse di 28-30 anni, cioè quella generazione che ha fatto in tempo a vivere in prima persona gli ultimi Oasis e che - è inutile negarlo - cerca nelle carriere solistiche dei fratelli-coltelli una fetta della gloria vissuta come privilegio dalle generazioni precedenti.

Non manca qualche ragazzina che su Spotify si documenta last minute sulle canzoni del piccolo dei Gallagher, quasi a temere il giudizio di qualche fan più maturo già pronto a cantarle a squarciagola. C'è curiosità, tanta. Liam a Taranto non è un evento qualunque, Liam a Taranto - specialmente per noi pugliesi - non è un artista qualunque. E di sicuro ha trascinato qui anche chi non aveva mai sentito parlare di lui (oltre a Fabio Caressa e figlia, tra il pubblico c'è, pensate un po', financo l'insospettabile Giovanni Floris, anche lui venuto qui su spinta della figlia adolescente), oltre a chi rimpiange gli Oasis, naturalmente.

"Nostalgia canaglia", cantava qualcuno nato non poi tanto lontano da questa città bella e dannata, radiosa, meravigliosa, così ricca di storia e assetata di futuro, così vogliosa di riscatto dopo le tante, troppe ferite da cui continua a sanguinare. Nostalgia degli Oasis, ma anche nostalgia, forse, di una Taranto che ritrovi il senso della propria bellezza, come polo pulsante di passione e punto di incontro di musicofili provenienti da ogni dove. E qui le analogie con la Manchester operaia potrebbero sprecarsi, ma non andiamo oltre con la retorica. Sta di fatto che la città pugliese grazie al Medimex si trasforma per tre giorni nella capitale del rock e in una cornice splendida accoglie il fratello più piccolo del terribile duo, quello "che non si scrive le canzoni" (tsk), quello "che non sa suonare", quello che però con il suo carisma e il suo modo unico di cantare e vivere il palco ha marchiato e continua a marchiare da oltre vent'anni la musica britannica, nel solco delle migliori band che il Regno Unito abbia prodotto.

I cancelli aprono alle 18 e subito inizia la corsa al posto più vicino al palco. Ci accorgiamo subito che diventa impossibile muoversi anche solo di pochi metri: tutto intorno c'è gente seduta a terra che gioca a carte, mangia, parla, fuma, inganna l'attesa come può. L'imperativo è uno solo: allontanarsi è un delitto, chi si sposta perde il posto ed è perduto. Così si rimane in piedi, aspettando la prima esibizione, quello dei bolognesi JoyCut, che dopo un po' rompono il ghiaccio, prima dell'arrivo della formazione anglo-italiana dei King Hammond & The Rude Boy Mafia, dal simpatico e pingue frontman inglese col ciuffo biondo che dedica una canzone al proprio cane, triste perché il suo padrone è lontano, in tour. La band ci dà dentro a colpi di ska, riuscendo a coinvolgere un pubblico che l'ha salutata con scetticismo, ma che si scalda preparandosi a scatenarsi con lo show dell'ex Oasis.

Terminato il secondo atto, alle 22 circa è un dj set di Virgin Radio, con Ringo, dj Toky e Paul Gallagher (fratello di Liam e Noel) a stuzzicare i settemila della Rotonda del Lungomare, con un'irriverente apertura con Song 2 dei Blur e un turbinio di classici made in UK, dagli Who ai The Jam, da Bowie agli immancabili The Stone Roses, la cui mastodontica I Am The Resurrection chiude, come sempre, l'attesa prima del concerto di Liam (era così anche con i live dei Beady Eye). Non più di un quarto d'ora, poi è la volta delle solenni note dei Carmina Burana. Infine, sullo psichedelico sound di Fuckin' in the Bushes, arriva lui, William John Paul Gallagher, parka giallo d'ordinanza (con su, a un certo punto, anche un foulard), accolto da un boato incontenibile del pubblico. Non è neanche iniziato lo show e tutti sono già sudatissimi.

Con il profumo del mare forte nelle narici, si parte con Rock 'n' Roll Star, intramontabile manifesto di intenti degli Oasis, mentre sul palco si intravede un pannello con le vele simbolo del Manchester City e, sulla batteria, un'effigie di Leo Sayer, cantante anni '70 che Liam ha scherzosamente citato in una recente intervista alla rivista Q. "Tonight I'm a rock 'n' roll star", grida rabbioso Liam, prima di chiudere il pezzo con "and you fucking are", "e voi lo siete, cazzo!", a testimoniare l'empatita totale con i suoi adepti. La voce è ottima ("E volevo pure vede', siamo ad inizio tour, del resto", direbbero i più maligni) e le chitarre si comportano bene, perché Jay e Mark sembrano finalmente essersi dotati degli amplificatori e delle chitarre giuste e affinato il suono: sono ottime Columbia, Some Might Say, tra le nuove l'emozionante For What It's Worth, la ballatona alla Blur di Tender, Universal Gleam, e Shockwave, l'ultimo energico singolo, anche se non mancano le titubanze sulle cinque corde, specie su Lyla e l'intro del riff di Cigarettes & Alcohol, dove Jay è - per usare un eufemismo - molto rivedibile. Questi ultimi, però, sono dettagli per i patiti, per chi sa che il wall of sound di Noel Gallagher è insostituibile. La sostanza è che Liam - e chi lo conosce lo nota - è carico più che mai, coinvolto, interattivo con il pubblico, "amorevole", come ci dice giustamente il Cristian, un altro mad for it meridionale che è venuto qui dal potentino e che, come me, attendeva questo concerto da mesi. Dopo quasi ogni canzone grida "grazie mille" e si batte più volte il petto, plaude alla folla, ingaggia un complice "gioco" di sguardi con Carmen e Piera, le due ragazze lucane della prima fila, cui lancia le proprie maracas. "Ti hanno pestato il piede? La mia t-shirt è migliore della tua", dice poi rivolto a un fan che forse gli mostrava con insistenza la sua maglietta. Sembra travolto dall'affetto e avvolto dal calore del Sud e di tutti i fan venuti da ogni parte d'Italia. "Forse ci tornerà", dirà qualcuno, convinto, alla fine del concerto. Forse è l'ennesimo caso di homines credunt quod cupiunt, ma per ora nessuno può smentire.

Nove canzoni su quindici sono degli Oasis, come il pubblico chiede e come è giusto che sia. Sei quelle del Liam solista, lanciatosi in questa avventura nell'estate di tre anni fa, dopo la fine non proprio felice dei Beady Eye, che pure avevano fatto cose egregie (chi scrive li ha visti dal vivo tre volte e lo sa bene). Wonderwall, rito collettivo, è proposta per la prima volta da Liam solista con la band al completo. Se Some Might Say è una delle più cantate, Columbia, come dicevamo, è un graditissimo ritorno, e la band le rende giustizia con un'esecuzione pressoché impeccabile. Il nuovo corso del minore dei Gallagher è, invece, caratterizzato da pezzi quali Wall of Glass e Greedy Soul. "Sono pezzi del mio album As You Were, spero lo abbiate comprato", dice dal palco. Eh La, con una brava violoncellista, è forse la canzone che lascia più perplessi, perché nota solo ai fan più accaniti, ma con la sua atmosfera onirica fa il suo, posizionata come è tra due mostri sacri quali Cigarettes & Alcohol e Wonderwall. 

Dopo una breve pausa, si riaccendono i riflettori e ricompare Liam per le ultime due canzoni. Canta la sorpresa Roll With It, tornata dal vivo dopo dieci anni (non la si sentiva dai tempi delle ultime esibizioni degli Oasis, nel 2009), e, con voce accompagnata dal pianoforte, Champagne Supernova, con le ultime note che scivolano sul lungomare a perfetta conclusione di una serata che forse non tornerà, ma che per la sua specificità e le emozioni che ha saputo trasmettere non ha precedenti né avrà eguali. Le luci si spengono, la commozione mista all'eccitazione rimane impressa negli occhi e i cuori dei fan. Un'altra chiacchierata, un altro modo per prendere tempo e 'rimuovere' la fine del concerto sulla via del ritorno a casa, esausti ma felici di aver vissuto con tanta bella gente una giornata di sano rock 'n' roll vecchia scuola. È questo che respiriamo, è questo che Liam ci regala, è questo che ci mantiene vivi. Grazie Ourkid, grazie Taranto.

Federico



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