Luce e ombra, bene e male, essere e non-essere, Beatles o Rolling Stones, Salvini o Di Maio, Liam o Noel. Si sa, l’Universo è governato dalle dicotomie, e dalla Bibbia ai cazzari del brit-pop è un attimo. Lo stipulava Aristotele nel libro gammma della sua Metafisica, lo ribadisce oggi Our Kid con Shockwave, il singolo con cui firma il ritorno, a due anni quasi esatti dall’opera prima As You Were.
Opposizioni, dicevamo. Perché se tuo fratello maggiore – San Giorgio di cui tu sei il Drago – torna in scena tutto paillettes e zampa di elefante, con Black Star Dancing prima e con Rattling Rose poi, non ti resta che diventare il babau – o meglio il boogeyman, come direbbe LG – e arginare l’isteria dancing queen in crisi di mezza età che si è impossessata di The Chief. Perché va bene i dissidi, ben vengano le twittate biforcute e tutti i Potato Face del mondo, ma nel rock & roll sono rimasti in pochi, la vecchia guardia appunto è vecchia, e le bandiere si contano sulle dita di una mano, due delle quali tradizione vuole occupate dai Gallagher’s. Per cui, se il neo cinquantaduenne Noel tenta un funambolico colpo di reni con un rinnovamento stilistico, almeno per ora privo di logica, segnando un harakiri sul suono Oasis – il suo suono – e salutando così la rilevanza che ancora poteva avere nel 2019, a Liam tocca salvare il buon nome di famiglia, rimanendo marmoreo in quello che sa essere il suo posto. Riaffermando la dicotomia, tutto torna.
Shockwave, appunto: entrata blues con armonica – spunta blu –, batteria in 4 bella pestata – spunta blu –, testo cattivone – spunta blu –, e poi l’apertura armonica che più Lennon non si può (bentornato Liam, vecchio invasato) con il ritornello lama di rasoio che grida Oasis, allo stesso modo del biglietto da visita Wall of Glass distribuito due anni fa. Certo, è vero, rimanere ancorati al passato, a Manchester e agli anni ’90, può sembrare ripetitivo, talvolta patetico, ma non se ti chiami Liam Gallagher, non se la tua importanza culturale e artistica rimane probabilmente incollata al nome che porti. La musica si fa per il pubblico, il pubblico vuole questo da te e questo devi dargli; un albero che cade nella foresta non fa rumore, la musica senza pubblico nemmeno.
La formula è semplice, sempre quella, ma terribilmente importante. Perché se gli altri alfieri depongono le armi affamati di carne fresca e una platea più giovane – Noel ballerino, Damon padrino trapper, Thom improbabile dj meme – Liam ha fatto la cosa più coraggiosa che poteva fare, riaffermare la propria identità (culturale, anagrafica, sonora e uligana). Liam aristotelico, Liam dogmatico, Liam l’incontrovertibile: A è uguale ad A e non può essere B = Liam Gallagher è Liam Gallagher, non può essere altro. “Io sono io” riaffermato con il mento incollato al microfono, in barba alle crisi di mezza età e alle dancing queen.
Opposizioni, dicevamo. Perché se tuo fratello maggiore – San Giorgio di cui tu sei il Drago – torna in scena tutto paillettes e zampa di elefante, con Black Star Dancing prima e con Rattling Rose poi, non ti resta che diventare il babau – o meglio il boogeyman, come direbbe LG – e arginare l’isteria dancing queen in crisi di mezza età che si è impossessata di The Chief. Perché va bene i dissidi, ben vengano le twittate biforcute e tutti i Potato Face del mondo, ma nel rock & roll sono rimasti in pochi, la vecchia guardia appunto è vecchia, e le bandiere si contano sulle dita di una mano, due delle quali tradizione vuole occupate dai Gallagher’s. Per cui, se il neo cinquantaduenne Noel tenta un funambolico colpo di reni con un rinnovamento stilistico, almeno per ora privo di logica, segnando un harakiri sul suono Oasis – il suo suono – e salutando così la rilevanza che ancora poteva avere nel 2019, a Liam tocca salvare il buon nome di famiglia, rimanendo marmoreo in quello che sa essere il suo posto. Riaffermando la dicotomia, tutto torna.
Shockwave, appunto: entrata blues con armonica – spunta blu –, batteria in 4 bella pestata – spunta blu –, testo cattivone – spunta blu –, e poi l’apertura armonica che più Lennon non si può (bentornato Liam, vecchio invasato) con il ritornello lama di rasoio che grida Oasis, allo stesso modo del biglietto da visita Wall of Glass distribuito due anni fa. Certo, è vero, rimanere ancorati al passato, a Manchester e agli anni ’90, può sembrare ripetitivo, talvolta patetico, ma non se ti chiami Liam Gallagher, non se la tua importanza culturale e artistica rimane probabilmente incollata al nome che porti. La musica si fa per il pubblico, il pubblico vuole questo da te e questo devi dargli; un albero che cade nella foresta non fa rumore, la musica senza pubblico nemmeno.
La formula è semplice, sempre quella, ma terribilmente importante. Perché se gli altri alfieri depongono le armi affamati di carne fresca e una platea più giovane – Noel ballerino, Damon padrino trapper, Thom improbabile dj meme – Liam ha fatto la cosa più coraggiosa che poteva fare, riaffermare la propria identità (culturale, anagrafica, sonora e uligana). Liam aristotelico, Liam dogmatico, Liam l’incontrovertibile: A è uguale ad A e non può essere B = Liam Gallagher è Liam Gallagher, non può essere altro. “Io sono io” riaffermato con il mento incollato al microfono, in barba alle crisi di mezza età e alle dancing queen.
Source: RollingStone.it
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