Il 31 maggio 1993 da una rissa mancata in Scozia partì l’avventura del leggendario gruppo dei fratelli Gallagher. Oltre 30 milioni di dischi venduti. I successi che hanno segnato gli anni '90.
Famosi per caso
Oltre 30 milioni di dischi venduti, pionieri del brit-pop che tanti proseliti avrebbe fatto nel mondo, di diventare famosi così, in un lunedì sera di primavera così lontano da casa, non l'avrebbero mai detto probabilmente neppure loro. Di certo non Liam Gallagher, il cantante della band, che a un certo punto qualche mese prima aveva accettato di fare entrare nel gruppo con il grado di leader, suo odiato, amato (ma forse più odiato) fratello maggiore Noel, condannando la band ad anni di litigi, a botte da orbi, concerti lasciati a metà e pranzi di Natale da incubo in famiglia, sotto allo sguardo preoccupato di mamma Peggy ,e al tempo stesso firmando il proprio assegno in bianco per il successo mondiale. Rissosi e genuini, egocentrici e geniali, questo sono stati gli Oasis. E quella sera del 31 maggio 1993 hanno mostrato per intero quel loro carattere, arrivando a un passo dal menarsi con il buttafuori. Sarebbe successo, qualcuno avrebbe chiamato poliziotti, e noi non li avremmo mai conosciuti. E invece eccoci qua.
Genesi di un successo
Perché fare a botte? Sembra di vederli. Metà pomeriggio: dalla duna di St. Vincent street, che dai quartieri alti degrada verso il fiume, si materializza un vecchio furgone scassato preso a noleggio. Parcheggia in divieto sul lato della strada davanti al locale, ne scende un ventiseienne in jeans e camicia bianca. Di fianco a lui un ragazzino in tuta. Si stiracchiano sotto allo sguardo curioso del buttafuori del King tut’s, fanno il giro del furgone, aprono il portellone e, anziché tirar fuori degli strumenti, lasciano spazio a una successione inaudita di gente stipata lì dentro. Due, cinque, sette: alla fine sarà una dozzina di loro coetanei. Si tratta del resto della band e dei loro primi ‘produttori’. Ovvero gli amici del pub che, la sera prima, hanno acconsentito ad autotassarsi per permettere loro di affittare il mezzo che li avrebbe portati a Glasgow a esibirsi... a patto che, ovvio, “veniamo anche noi”.
Tutta colpa di Debbie
Anche il concerto d’altronde era arrivato per caso. Debbie Turner, la cantante delle Sister Lovers, la band che provava nella saletta di fianco a loro, a Manchester, era andata da Noel una sera tutta contenta per dirgli che il lunedì successivo, 31 maggio, avrebbero preso parte a una serata al mitico King Tut's di Glasgow. “Beh, venite anche voi, no?”. Noel lo aveva comunicato agli altri, poi insieme, la sera al pub, si erano inventati la raccolta fondi per il furgone. Debbie, per contro, ne aveva a sua volta parlato con i Boyfriends, l’altra band che si sarebbe esibita quella sera. Lì è nato il malinteso. Qualcuno pensò che qualcun altro avrebbe chiamato gli organizzatori per avvertirli che i gruppi sul palco, quel lunedì 31 maggio, sarebbero stati quattro e non tre. In realtà nessuno lo aveva fatto, ed è il motivo per cui, arrivati da Manchester, nel tardo pomeriggio, dopo un viaggio di quattro ore, i Gallagher e soci si sentirono dire che no, nessuna esibizione era prevista.
Bomba o non bomba
“Noi siamo gli Oasis, dobbiamo suonare”. “In lista non ho nessun Oasis”. “Senti amico, devi lasciarci entrare, siamo venuti da Manchester per questo”. “Per quel che mi riguarda potete tornarci o andarvene a quel paese”. Fino a qui è cronaca. Da questo punto della storia in poi, però, le testimonianze divergono. La tesi imperante è che i manchesteriani, sempre più irrequieti, di fronte al diniego abbiamo dato in escandescenze e - complici del loro numero (almeno una dozzina di supporters più i cinque membri della band) abbiano iniziato a farsi violenti. A quel punto i gestori del locale, pur di evitare una rissa, avrebbero ceduto a farli suonare in apertura. Noel Gallagher ha più volte smentito questa tesi, e così hanno fatto anche i membri dei Boyfriends. Una tesi che non si regge, a parer loro, più per l’anatomia dei fatti in sé che per motivazioni etiche. Come avrebbero potuto dei ragazzini di Manchester menare le mani in trasferta, in un locale di Glasgow, e sperare poi di farla franca? La seconda versione, dunque, è più accomodante. Di sicuro la discussione accesa col buttafuori ci fu. Poi Noel chiese di mandare a chiamare Debbie Turner delle Sister lovers. A lei spiegò il problema e Debbie lo condivise con i Boyfriends, il cui batterista conosceva Noel per aver lavorato con lui come tecnico degli Inspiral Quartet. I due gruppi iniziarono a fare pressioni sugli organizzatori che, però, rimasero irremovibili: lo spazio per un’altra band non c’è. Poi sensi di colpa per aver preso in giro quei ragazzi, arrivati da Manchester con i soldi raccolti grazie a una colletta, ebbero la maggiore. Così le tre band in scaletta a ridosso del concerto si ritirarono sull’Aventino: o c’è spazio anche per gli Oasis, oppure non si esibirà nessuno, e addio incassi per il locale. Un compromesso, alla fine, si trovò: tutti avrebbero rinunciato a un brano così da raggranellare il tempo per far suonare tre pezzi in apertura di serata a quei ragazzi senza arte né parte. Gli Oasis entrarono. Guadagnarono i camerini, il diritto a stappare una birra e a salire sul palco senza aver neppure fatto un sound check. Ma tanto sarebbe bastato per fare la Storia.
Anche l’amore ci mette lo zampino
Sfatti, scombinati, confusionari. A inizio serata gli Oasis sono davvero sul palco. Liam Gallagher se ne sta in tuta, Noel si guarda attorno finto-annoiato, Paul ‘Bonehead’ Arthurs e gli altri accordano gli strumenti nervosi. Hanno tre pezzi in croce, e uno di questi non è neppure loro, ma una cover dei Beatles, “I am the walrus”. Dall’altro lato del palco, nella sala semivuota a inizio serata, ci sono i loro amici che fanno bisboccia ma, al di là di loro, un altro pugno di persone o poco più. Nulla di ciò sembrerebbe, a ben guardare, un appuntamento col destino. Per diventarlo dovrà metterci lo zampino l’amore. Anzi, meglio: il risentimento. Quello di Alan McGee, produttore della Creation Records, etichetta dalle alterne fortune. Dalla sua ha dischi osannati dalla critica, contro di lei il fatto che quegli stessi dischi venivano poi venduti zero, anzi, meno che zero, con grandissimo dispendio di soldi ed energie. L’ultimo tonfo è stato ‘Loveless’ dei My bloody valentine. Un disco-cardine, scintillante ancora ora, che pure stentò nei negozi.
Toccare il fondo per risalire
McGee in quel 1993 ha dovuto cedere metà della proprietà della sua etichetta alla Sony e le fortune, no, non stanno girando dalla parte sua. Neanche quelle d’amore, si diceva. Debbie Turner, proprio la cantante delle Lovers sisters, lo ha appena mollato. Motivo per cui il produttore non ha alcuna intenzione di presentarsi quella sera al King tut’s, dove è di casa. Se alla fine deciderà di andare sarà, per sua stessa ammissione, esclusivamente per farle dispetto. L’idea è quella di piazzarsi sotto al palco, a fissarla negli occhi durante l’esibizione, per metterla in imbarazzo e soggezione. Lo decide all’ultimo, in ogni caso. E quando entra, la serata è appena iniziata. Sul palco c’è una band di personaggi assurdi che sta suonando una canzone dei Beatles facendo una gran confusione tra chitarre distorte e colpi di batteria. McGee osserva il cantante, un 21enne in tuta, così anti-personaggio da risultare perfettamente artistico. Ne vede del buono: ci vuole del fegato a salire su un palco davanti a 20 persone scarse e martoriare la canzone di dei mostri sacri come i Beatles mantenendo l’aplombe di chi si sente ancora in sala prove. Il produttore chiede al fonico. Chi sono? “Dei tizi di Manchester che non erano neppure previsti”. “E chi è il loro manager?” Il fonico scoppia in una risata: “Questi è già tanto se posseggono degli strumenti”. McGee alza le spalle. Per lui, in fondo, è soltanto meglio.
Adesso manca solo uno sbruffone
A fine concerto il produttore si presenterà da loro nei camerini. “Chi è il capo, qui?”. Tutti indicano Noel pensando a qualche rogna. Il chitarrista si avvicina al tizio, birra in mano, e ne ascolta il discorsetto. Siete bravi, vorrei produrvi. Avete dei brani? Un demo? Gallagher lo osserva per tutto il tempo convinto che si tratti di uno scherzo, di un tiro mancino dei suoi amici là fuori. Aspetta il momento in cui il tizio si tradirà, e inizierà a non sapere più cosa dire, oppure si metterà a ridere, e a quel punto si sentirà autorizzato a sferrargli un pugno sul naso. Ma McGee si fa serio. Vuole davvero un demo e Noel, nel dubbio, sta al gioco. Così prenderà i suoi contatti e il giorno dopo gli manderà il nastro delle loro prove in sala. La risposta che arriverà sarà una busta con dentro i biglietti del treno per Londra: “ho ascoltato il demo, parliamone”.
I treni per Londra
Gli Oasis si presenteranno titubanti. “Avete buone carte, ma servono anche delle canzoni, quante ne avete?”. Noel zittisce i suoi colleghi, parla lui. Esagera: “Abbiamo un disco intero, è già pronto”. Bonehead, il chitarrista, riporterà per anni il panico di loro quattro di fronte a quella menzogna di Noel. Ma non può fare tutto il destino. A un certo punto serve qualcuno che ne sappia cogliere gli aiuti e ci metta del suo. Così i cinque lasciano lo studio della Creation Records con un contratto firmato e l’impegno a registrare subito un disco di brani propri. L’unico sereno è Noel, a lui tutto fa paura, nella vita, fuorché scrivere canzoni. Eppure ci vorrà più di un anno. Un taglia e cuci a cui quei ragazzini non erano abituati. Quando il disco sarà pronto, per scherzare sopra a quel senso di precarietà che li aveva accompagnati lungo tutto il percorso, lo chiameranno ‘Definitively Maybe’, ovvero “sicuramente forse”. Dal 29 agosto 1994, giorno della sua uscita, quell’album non avrebbe più smesso di vendere. Lo fa tuttora, con gli Oasis sciolti ormai da quasi quindici anni. A ricordarci di come la creatività, in fondo, sia un fiore spontaneo. Che nasce e cresce per una coincidenza incredibile di fattori casuali. E ad almeno un monito per buttafuori, organizzatori, produttori&Co. Uno tra tutti, che dovrebbe essere ancora oggi l’inno alle possibilità di espressione: non prendere mai sottogamba un gruppo di ragazzini che sembrano sapere il fatto loro, al punto di presentarsi con un furgone in affitto a centinaia di chilometri da casa pur di suonare. Prenditi il lusso di vederli sul palco. Magari non se ne fa nulla. Oppure scopri gli Oasis.
Simone Arminio (Quotidiano.net)
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