sabato 22 aprile 2023

Noel Gallagher al Corriere della Sera: "Per me inizia un nuovo ciclo. Oasis? Non torneranno. I Maneskin? Chi? Quelli col cantante che si faceva in diretta?"

Council Skies è il quarto album del più grande dei Gallagher. «È l'avvio di un nuovo ciclo».

di Andrea Laffranchi

«Finora quello con gli High Flying Birds è stato un progetto solista. Questo è il primo album in cui la band suona ed è coinvolta in studio. È l’avvio di un nuovo ciclo». Noel Gallagher presenta così Council Skies, quarto album della sua carriera senza il fratello Liam, un nuovo passo nel post-Oasis.

Ci sono rumors che per i 30 anni da «Definitely Maybe», il vostro debutto, e dopo anni di insulti a distanza, nel 2024 ci sarà la reunion...

«Negli archivi della Sony abbiamo ritrovato dei nastri che risalgono a quelle session. Pensavamo fossero andati persi, ma erano soltanto stati etichettati in modo sbagliato. Sono sorprendenti... Ci sono delle versioni splendide di quei brani, alcune in versione acustica. Però non ci sarà un tour, non torneremo per suonarle insieme».

Ha pensato di ripercorrere quegli anni e la sua vita con uno show teatrale o un’autobiografia come Bono o Springsteen?

«Grande show quello di Bono. Ci sono stato con mio figlio Donovan che ha 16 anni e quando Bono si è messo aballare sul tavolo mi ha detto “ma è fuori?”. Per scrivere un libro ci vuole tempo, un paio d’anni almeno. Se mai lo facessi non vorrei avere un ghost writer e in quell’intervallo di tempo preferisco scrivere un altro disco».

«Easy Now», uno dei nuovi singoli, riporta al suono degli Oasis. Tutto l’album guarda al rock, abbandonando le sperimentazioni dall’autodefinito «cosmic pop» psichedelico del precedente.

«Quel disco non era suonato in studio con tutti i musicisti insieme, era nato come un collage. Queste canzoni invece sono nate tutte con la chitarra acustica. Vorrei portarle tutte in tour, anche se dovrò sceglierne solo alcune perché non possono mancare molti brani del passato e non voglio diventare come Springsteen che suona 4 ore di fila».

Nel disco ospita di nuovo la leggenda della chitarra Johnny Marr, ex Smiths.

«Chi non ha bisogno di avere Johnny su un disco? Ho il suo cellulare e gli ho detto che se continua a non rispondere, continuo a chiamarlo. In studio è sempre entusiasta, ma non cerca mai di dominare, è sempre rispettoso dei brani su cui interviene».

Conosce i Måneskin?

«Eurovision è una roba fuorissima... Loro sono quelli col tipo che si faceva in diretta, vero?».

Per la verità il leader Damiano ha smentito...

«Non ho in mente la loro musica, in realtà».

Si ricorda quando scrisse «Live Forever»? 

«Non eravamo nessuno. Ero in un appartamento a Manchester, un martedì pomeriggio. La portai alle prove della band e Bonehead disse “non l’hai scritta tu”. Ho capito che sarebbe stata un classico e che le cose non sarebbero state più come prima per noi».

Le atmosfere del disco sono spesso dark. Sulla cover dell’album, uno scatto in bianco e nero, ci sono gli strumenti per un concerto piazzati su una rotonda. Non c’è anima viva, voleva evocare il lockdown?

«Non mi piace avere la faccia sulle copertine. L’idea degli strumenti viene dal retro della cover di Ummagumma dei Pink Floyd. Ho scritto tutte le canzoni nei mesi della pandemia, ma non è quello il tema dei testi. Che invece definirei riflessivi, parola che userei per descrivere tutto il disco. E per quanto riguarda l’anima dark credo che abbiano influito anche cose accadute nella vita privata (si è separato dalla moglie Sara MacDonald dopo 22 anni, ndr), ma anche nelle canzoni più malinconiche c’è sempre una speranza».

Lei è un simbolo del brit rock: suonerà all’incoronazione di re Carlo?

«Non me lo hanno chiesto e comunque non lo farei. In molti hanno rifiutato di partecipare. Alla mia generazione non interessa nulla della royal family. Abbiamo amato la regina che c’era già quando eravamo bambini, ma il resto è roba per turisti americani».

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(Corriere della Sera, 22 aprile 2023)

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