giovedì 9 novembre 2023

Recensione del concerto di Noel Gallagher a Milano: l'importanza di essere Noel

Io questa sera ho capito per la prima volta cosa significhi essere Noel Gallagher.

Perché puoi avere avuto il coraggio di lasciare la band che hai fondato e con cui hai venduto oltre 70 milioni di dischi in tutto il globo; perché puoi pure averne fondata un’altra che porta il tuo nome e che sta sulle scene da ormai 15 anni; puoi avere avuto collaborazioni con il gotha della musica mondiale che vanno dagli Who ai Chemical Brothers, passando per Coldplay, Prodigy, Beck, Paul Weller, Johnny Marr (che ha partecipato in ben tre dei pezzi dell’ultimo album “Council Skies”) ma ci sarà sempre quello stronzo che ti chiede «Oh, mi fai So Sally can wait?!?»

E partendo da questo aspetto, allora capisci perché ti trovi di fronte ad un concerto in cui Noel insieme ai suoi High Flyng Birds riempie il Forum di Assago e lo fa cantare a squarciagola… le canzoni degli Oasis! Ma approfondiamo questo concetto con la cronaca dell’evento.

La band sale sul palco con precisione svizzera alle 20.30, in formazione classica: Gem Archer (chitarra solista), Russell Pritchard (basso), Mikey Rowe (tastiera), Chris Sharrock (batteria) e le coriste Audrey Gbaguidi, Jessica Greenfield e Charlotte Marionneau. Noel segue a ruota e si presenta con Pretty Boy, il primo singolo dell’album 2023, che è proprio uno di quei tre pezzi in collaborazione con l’ex leader dei Jam, che è anche stato di recente remixato da Robert Smith dei Cure.

Neanche il tempo di godersi il boato del Forum che lo saluta, che The Chief riparte subito con Open the Door, See What You Find, accompagnato alle sue spalle da un wall con fantasie psichedeliche anni Settanta. Al termine, del brano parte un coro per Noel che lui zittisce scherzosamente con uno «Shhhh!» e, cambiandosi la chitarra acustica con una elettrica, attacca con il brano eponimo Council Skies. Re-imbraccia di nuovo la fidata acustica e propone We’re Gonna Get There in the End, un pezzo con influenze marcatamente beatlesiana, che fai il pari con la successiva Easy Now in cui sembrerebbe quasi che John Lennon avesse fatto un’incursione in una session degli Oasis.

Dopo la carrellata dei singoli dell’ultimo album che conclude il primo set, Noel ha forse il primo vero contatto con il pubblico italiano, salutandolo con un «Ciao Milano!» che apre le danze al repertorio “storico” degli High Flying Birds: You Know We Can’t Go Back fa pestare come un matto il batterista che attiva il palazzetto, che con la prima ballad della serata We’re On Our Way Now accenna i primi cori sul ritornello, per poi portare le mani al cielo sulle note di Heat Of The Moment che sancisce il primo vero momento di sing aloud della serata. Seguono If I Had A Gun (canzone gallagheriana per antonomasia), AKA… What A Life! (che il cantante dedica ai tifosi del Manchester City) e si chiude il secondo set con la malinconica Dead In The Water che la gente canta a menadito, perché forse la percepisce come l’ideale punto di congiunzione verso i sound degli anni Novanta e della band che il Nostro aveva fondato con il fratello Liam e con altri tre squinternati di Manchester. (Il motivo per il quale credo che almeno l’80% delle persone sia qui ad Assago questa sera… a stare bassi!).

È proprio a questo punto della serata che immagino uno scenario distopico, un misto tra Squid Game e i giochi alcolici del college Americani, in cui ognuno dei presenti dovrebbe bersi a goccia un chupito ogni qualvolta che viene pronunciata la parola “Oasis“. Lo penso a ragion veduta, perchè in tutta la serata quel nome Noel non lo ha mai pronunciato e per avvisarci del cambio di repertorio, ha usato la perifrasi sibillina “adesso passiamo agli anni Novanta“: il Forum ha letteralmente ululato all’annuncio, ma forse forse dentro il cantante ha aperto la ferita che non si rimargina mai, perché in ogni data dei suoi tour il “Noel attuale” deve combattere con il “Noel degli Oasis” (Ale, bevi a goccia!) che ogni sera lo sfida a fare meglio di quello che era riuscito ad inventarsi il quel decennio mirabile. E quasi me lo vedo tornare indietro nel tempo come Marty McFly, che dice al sè stesso di (What’s the Story) Morning Glory? che se non avesse smesso di stuzzicarsi con suo fratello, a breve tutto quel successo avrebbe potuto svanire!

Mi sveglio da questo trip, quando lo sento chiederci se per caso ci ricordiamo di una canzone chiamata Stand by me cantata sempre da quel gruppetto inglese che inizia con la O: quando siamo tutti pronti a cantarla a squarciagola, lui ci dice «Bene, parlavo del suo lato B: Going Nowhere!». Nonostante l'”inganno della cadrega” (in stile mancuniano), parte ufficialmente il set delle cover degli Oasis (Ale, bevine un altro!). Con The Importance Of Being Idle, dall’alto si vede uno stormo di lucciole digitali formato dagli smartphone intenti a riprendere il primo assolo di chitarra del signor G. che poi infiamma letteralmente il Mediolanumforum con The Masterplan, un pezzo sottovalutatissimo nel ’95 (quando uscì come b-side di Wonderwall), che ha avuto una seconda giovinezza nel ’98 quando è stato pubblicato l’album omonimo (che conteneva tutti i lati b del gruppo con la O più un paio di inediti) e che oggi sembra essere diventato una sorta di inno generazionale del brit-pop: questo ovviamente a mio (in)sindicabile giudizio!. La scelta successiva di Half The World Away ad essere onesti abbassa un po’ il mood creato fino ad ora, che però ritorna immediatamente alto con Little by little che, forse complice l’acustica non troppo perfetta del palazzetto, mi è sembrata arrangiata in maniera leggermente diversa dalla versione album del 2002 – meno ballad e più distorta – chiudendo il terzo set del match tra “Noel ’90” e “Noel ’20”, avviandoci all’encore.

Il dado è tratto: la band rientra e con lei anche Noel che sadicamente ci tiene sulle spine chiedendoci se ci piaccia Bob Dylan o almeno io intendo così, ma ne ho conferma quando parte la sua cover personale di “The Mighty Quinn“.

Quando siamo pronti ad aspettarci QUELLA intro di piano, di QUELLA canzone che tutti gli chiedono e che tutti si aspettano (noi compresi, ovviamente), eccolo che ci prolunga l’attesa, proponendoci la sua versione di Live Forever che ai tempi di Definitely Maybe veniva naturalmente cantata da Liam G e che quindi nella interpretazione di Noel (comunque autore della suddetta) sortisce in qualche modo un effetto straniante. Non abbiamo però tempo di pensare alla perturbanza del pezzo appena concluso che – non prima di uno sfottò ai tifosi interisti per quanto successo nella scorsa finale di Champions – quella intro di piano arriva per davvero, viene doppiata da tre note di chitarra elettrica che lascia spazio alle parole «Sleep inside the eye of your mind…» e il resto è storia, perché ovviamente su Don’t Look Back In Anger, l’intero Forum si sostituisce alla voce del cantante per tutto il pezzo, fino ad esplodere inevitabilmente su quella benedetta/maledetta strofa «So Sally can wait, she knows it’s too late» che mi riporta al quesito iniziale, prima che The Chief e tutta la band si congedino: Noel Gallagher sarà per sempre schiavo del passato degli Oasis (Ale, bevi!) o è proprio grazie ad essi che può continuare a sperimentare in ambito musicale, con la speranza che col tempo qualcuno gli chieda implorante di fargli un pezzo dei High Flying Birds?

Con questo dubbio torno a la maison, pensando a McCartney che pur avendo ingranato qualche buon album con i Wings, si porterà per sempre dietro l’eredità ingombrante dei Fab 4; oppure a Sting, che seppur con una decina di album da solista alle spalle, avrà sempre da fare inevitabilmente i conti con il repertorio dei Police; oppure al Martellone di Boris, che nonostante tutti gli sforzi accademici ed attoriali per scampare dai suoi esordi trash-comici, si porterà sempre dietro il fardello del “bucio de culo“.

Ma per me Noel resta comunque l’icona indiscussa del brit-pop e nessuno potrà mai levargli questo scettro. Nemmeno il fratello con cui cantava nel gruppo con la O, anche se per noi Millenials sarebbe bello vederli almeno ancora una volta insieme sul palco con la formazione originaria degli Oasis (bevi!).

Articolo di Alessandro Amendolara.
Foto di Marco Arici.

Source: Rockon





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Scaletta:

Pretty Boy
Council Skies
Open the Door, See What You Find
We're Gonna Get There in the End
Easy Now
You Know We Can't Go Back
We're on Our Way Now
In the Heat of the Moment
If I Had a Gun...
AKA... What a Life!
Dead in the Water
Going Nowhere 
The Importance of Being Idle 
The Masterplan 
Half the World Away
Little by Little 
Quinn the Eskimo (The Mighty Quinn) (Bob Dylan cover)
Live Forever
Don't Look Back in Anger (video qui sotto)

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