«Se non fossi stato una rockstar? Non credo che sarei diventato un calciatore professionista», si chiede Liam Gallagher. E di motivi per fermarsi a riflettere sulla percezione collettiva di rockstar e sull’impronta che ha lasciato in decenni ne ha. Quando insieme a Noel ha traghettato il Britpop dai sobborghi e le scuole superiori di Manchester alle vette delle charts, tutto ciò che i fratelli Gallagher toccavano diventava icona: dall’album d’esordio, l’ossimorico Definitely Maybe, uscito nell’estate del 1994 ai riferimenti dei video, compreso l’ambito school bus di Go Let It Out che, per la generazione MTV, passava a ciclo continuo con la promessa di condurci altrove. Ora Liam Gallagher, classe 1972, ha quasi 50 anni e con un nuovo album in studio appena uscito, C’Mon You Know, il terzo da solista dopo As You Were (2017) e Why Me? Why Not? (2019), entrambi schizzati al numero uno delle chart britanniche, ha lasciato alle spalle turbolenze, le tenzoni, rimbalzate da un tabloid all’altro, con Liam e l’edonismo lisergico dei Novanta.
«Amo svegliarmi presto la mattina, mi piace la quiete - racconta -. Se esci alle undici è già pieno di pazzi in giro». Aggiunge, quasi a scandire il tempo che lo separa dagli esordi: «Ho quasi cinquant’anni, voglio vivere momenti sereni. So di aver perso qualcosa, ne siamo tutti consapevoli quando ci guardiamo allo specchio, ci sono cose che ho fatto di cui non sono orgoglioso, ho fatto cose stupide». Il percorso solista, fin dalla separazione nel 2009 da Noel, dopo la chitarra andata in frantumi al festival francese Rock en Seine il 28 agosto di quell’anno (e insieme il sogno Britpop), indica una nuova via in ascesa, la rivista NME ha descritto il nuovo lavoro di Liam come il «migliore e più sperimentale» realizzato da Gallagher fino ad ora, tra rimandi alla Summer of Love e distorsioni rap. Il nuovo disco, anticipato dal singolo Everything’s Electric firmato con Dave Grohl, porta i segni di una fratellanza di vecchia data - i due si sono conosciuti anni fa quando i Foo Fighters sono stati in tour con gli Oasis. «L'album è insolito e mi piace: per l’80 per cento è follia e per il 20 per cento è classico». Pochi giorni dopo l’uscita del disco - i cui testi sono rapidi come ritratti dallo specchietto retrovisore, snapshot di quotidianità - con 160 mila biglietti polverizzati il primo giorno, Liam si esibirà per due date al Knebworth Park, teatro di uno dei momenti memorabili, il live degli Oasis del 1996. Un riferimento a quella data impressa nella memoria collettiva? A chi gli chiede l’ultima volta che ha visto Noel, lui risponde: «A una partita di calcio dieci anni fa». Prosegue: «È un peccato, no? Non ci parliamo da circa tredici anni, potremmo andare avanti ore a chiederci di chi è la colpa. Non avremmo dovuto dividerci, ma è accaduto, ora siamo a questo punto. Voglio bene a Noel».
Il resto si è visto, letto, raccontato, deformato mentre un desiderio collettivo invocava una reunion. «Mi piacerebbe che gli Oasis tornassero insieme, non accadrà ora, se succede, succede. Per il momento sono contento di ciò che faccio, cosa significa un “forse”?», si chiede Liam. Per ora c’è un tracciato comune, un passato che, ventenni, li ha resi al centro del sistema musicale. «Tutti dicono che eravamo i più grandi, in realtà era pieno di posti in cui avremmo potuto essere più famosi. Eravamo "the biggest thing" in Inghilterra, ma non era così in America, in Spagna non abbiamo mai suonato negli stadi, c’era tanto lavoro che avremmo potuto fare se non ci fossimo sciolti», prosegue Liam. Riavvolgendo il nastro, quando i due fratelli Noel e Paul erano già coinvolti nella scena musicale delle scuole superiori, Liam ci finì per caso dopo essere finito in ospedale e aver subito ingiurie da un gruppo di un’altra scuola. Dell’infanzia difficile, dei complessi rapporti con il padre, violento in famiglia, molto si sa. Meno dei momenti che, prima di fuggire dalla provincia, ora sono ricordi lievi: «La vita è tutto qui, essere vivi e amati - riflette Liam -. Dei giorni difficili chi vuole saperne? Vogliamo uscire e dire cose che ci rendono felici. Quando il sole splendeva, quando giocavamo a pallone al parco o avevamo abbastanza soldi da permetterci una birra. Erano le piccole cose a renderci felici, amavamo la via di fuga offerta da una chitarra. Tutto il resto era un bonus».
Un bonus regalato ai fan a ogni live. Con una data in Italia - a Lucca, il 6 luglio - e un tour che toccherà anche Manchester, Belfast e Glasgow, Liam conosce il potere della parola nonsense magica come una formula surrealista: Wonderwall: «L’ho cantata alla fine di un concerto qualche tempo fa, porta fuori di testa il pubblico anche se l’abbiamo sentita mille volte, state certi la risentirete». E, come ultima curiosità, a chi gli chiede per cosa vorrebbe essere ricordato, lui risponde: «Per aver fatto esattamente quello che ci si aspettava da me. E per essere stato bene mentre lo facevo».
Sofia Mattioli
(La Stampa, 30 maggio 2022)
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