sabato 19 giugno 2021

Noel Gallagher si racconta: "Il rock da stadio degli Oasis? Bello, ma facile da scrivere e artisticamente limitante. Da solista vivo sfide impegnative"

Nel corso dell'intervista rilasciata per il programma televisivo Noel Gallagher Out of the Now, andata in onda su Sky Arts, l'ex Oasis ha ricordato i suoi esordi come solista, dieci anni fa, e di come si è evoluta la sua carriera in solitaria. Noel ha anche sottolineato le differenze tra la sua avventura con la band che ha segnato gli anni '90 e 2000 e la sua band attuale. 

"Non avevo un piano predefinito", ha detto il musicista, che ha lasciato gli Oasis nel 2009 decretandone di fatto la fine, "ma per forza di cose avrei registrato un disco. Cos'altro avrei potuto fare? Sono negato per qualsiasi altra cosa, ma non avevo la minima idea di quando l'avrei fatto o come sarebbe stato".

"E dunque una notte sono andato a letto, senza pensare a niente, forse al (Manchester) City o a cazzate del genere. Poi mi sono svegliato il giorno dopo e mi ricordo che io e Sara stavamo chiacchierando da stanza a stanza, e mentre lei era in bagno a prepararsi mi ha detto: 'Che cosa pensi di fare allora?'. E quando tua moglie ti dice una cosa del genere significa: 'Mi sono rotta le palle di averti lì in casa tra i piedi da più di un anno. Cosa vuoi fare?'. E allora le ho risposto: 'Penso che registrerò un disco'.

"Normalmente quando una band si scioglie è il cantante che si butta in qualcosa di più grande e migliore. Non è mai il chitarrista a farlo. Al contrario, gli viene una crisi isterica finché non è preso dalla smania di rimettere insieme la band, quando capisce che non frega un cazzo a nessuno di quello che un chitarrista ha progettato di fare."

"Il mio asso nella manica, però, era che avevo cantato un paio dei nostri tre singoli da primo posto. Quindi la gente sapeva com'era la mia voce e nessuno si sarebbe schifato. Avevo un po' di canzoni, non proprio tutte meritevoli di entrare in un album, che avrebbero fatto parte del disco successivo degli Oasis. E, come detto, non avevo una band. Quindi ho affittato uno studio e ho buttato giù una canzone alla volta. E anche arrivato lì non ero per niente sicuro. Mi ricordo che una sera, tornando a casa dallo studio, sono passato davanti allo Shepard's Bush Empire e cercavo ... sai lì dove mettono il nome della band, sopra la porta ... cercavo di visualizzare il mio nome lassù e non ci riuscivo. E pensavo che le mie canzoni avrebbero dovuto essere due volte meglio di quelle di tutti gli altri. Perché sono un venditore terribile, un venditore tremendo. E non sono così bravo come frontman. E nemmeno come cantante sono un granché. Quindi le mie canzoni avrebbero dovuto essere fottutamente stupende, così come il disco. Quindi tutta la mia energia l'ho messa nel comporre un grande album e ancora oggi se il disco è ben fatto, tutto il resto è solo un bonus".

"Qualcuno una volta ha detto che l'arte è solo quello che tu riesci a vendere come tale. Quindi durante il mio primo tour ed era fantastico e sentivo la cosa crescere dentro di me e mi piaceva. E dalla partecipazione del pubblico riuscivi a capire quello che potevi ottenere. Allora ho cominciato non a fare cose folli, ma cose come Riverman o The Right Stuff o The Ballad of the Mighty I, che erano tutte improntate verso un'evoluzione e non ancorate in nessun modo al passato. È stato solo dal momento in cui ho scritto un album da artista solista che ho iniziato ad utilizzare strumentazioni e influenze differenti, a cantare in modo diverso. Poi siamo arrivati a Who Built the Moon? e lì la cosa è proprio esplosa in tutto un altro mondo. In quel momento ho iniziato a pensare: 'Wow, qui le cose diventano davvero impegnative anche per me'. Ma è proprio lì che vuoi essere. E non devi avere paura. E lo devi affrontare a petto in fuori, cazzo. E non devi avere timore di essere deriso". 

"Quindi quando ho fatto uscire cose come Black Star Dancing, che è una delle mie cose preferite tra quelle che ho fatto, ho praticamente spaccato in due la mia fan-base. In realtà è una cosa buona. Mette alla prova sia te stesso che loro. Perché hai fatto la stessa cosa per vent'anni, e sapevi benissimo quando facevi un disco negli anni '90 come dovesse suonare, come sarebbe stato il relativo tour, come sarebbe stato accolto e blablabla. Sai, lo dico solo con il senno di poi, perché al tempo, quando ci stavo dentro, era fottutamente stupendo e non sapevo che ci fosse una vita fuori da quello. Adesso che lo vedo da fuori, era proprio ... Artisticamente era come indossare una camicia di forza". 

"In realtà adesso non penso al passato quando entro in studio e come la prenderà la parte oltranzista dei fan degli Oasis. Non mi passa mai per la mente. L'unica volta in cui succede è quando devo fare la scaletta per i concerti e vedo che tra le ventuno canzoni c'è solo Don't Look Back in Anger. Quindi penso che devo aggiungerne un altro po'. 'Quanto costano i biglietti? Porca troia! Ci metto dentro pure Half the World Away! Davvero? Ci butto in mezzo anche Wonderwall!'. È una sfida allo stesso modo in cui non lo era quando ero negli Oasis. Perché, come ho detto prima, era tutto basato nella lotta che infuriava nella band. La musica era cucita su misura per quello che c'era attorno, per il rock da stadio, che, sai, è abbastanza facile da scrivere. E uscire da tutto quello ha significato andare in un'altra direzione. È stata una sfida e lo è tutt'ora. Ma mi piaciuto tanto, mi è piaciuto tanto".

(traduzione a cura di Luca)


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