Quando sale sul palco per un concerto, Noel Gallagher ha con sé un bagaglio pesante. Dentro ci sono dieci anni passati a togliersi di dosso un’etichetta, quella di ex Oasis, ma anche l’orgoglio di aver definito il suono del Brit-pop, e poi i desideri dei fan nostalgici, le liti, le frecciate e le incazzature con Liam, e un carattere ombroso che da sempre è il suo marchio di fabbrica. Il pubblico del Pistoia Blues lo sa, si presenta in piazza Duomo per mettersi faccia a faccia con un simbolo del rock inglese degli ultimi venticinque anni, ma anche per ripassare insieme a lui i pezzi scritti e cantati dopo la fine della band. Tutti si aspettano i flashback, sanno che ci sarà modo di cantare “Don’t look back in anger” a squarciagola, magari pensando ai cori spontanei dopo l’attentato di Manchester, che hanno trasformato quella canzone in una specie inno laico.
Noel arriva puntualissimo con i suoi High Flying Birds e comincia con l'attacco percussivo di “Fort Knox”, uno scossone che valorizza il lavoro di backing vocal della corista. La prima coloritura soul emerge quando trombone e tromba spingono su “Holy Mountain”, anche se il suono un po' impastato limita la riuscita dei primi pezzi. Noel si sgola per dare energia a “Keep On Reaching”, e le prime aperture melodiche vere arrivano sul refrain di “It’s a Beautiful World” e di “She Taught Me How To Fly”, con una batteria post punk a far marciare il pezzo.
Mentre i tecnici sono alla ricerca dei livelli migliori, Noel chiede "Ci sono fan degli Oasis?". Il pubblico esplode in uno scontato sì e lui scherza stupito: "Siete fan degli Oasis? Allora questa è per voi" e spara il suo ultimo singolo, “Black Star Dancing”.
Dopo “Rattling Rose” alla chitarra folk, la gag si ripete per “Dead In The Water”, con dose doppia: "Oasis fans, this fucking song is for you". Quando un pezzo degli Oasis arriva davvero, “The Importance Of Being Idle”, naturalmente lui non lo annuncia, ma i fan cominciano a canticchiare illuminando la piazza con i telefonini cattura-ricordi, come faranno poco dopo per “Little By Little” e “Whatever”.
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L'apoteosi sta per arrivare: l'assaggio è “Wonderwall”, salutata con boato fin dal secondo accordo. “Stop Crying Your Heart Out” è dedicata a uno spettatore della prima fila e cantata da tutta la piazza, con i fiati che aggiungono sostanza all’attacco minimalista.
Dopo un primo "ciao" a cui non crede nessuno, arrivano i bis, e c'è spazio per un'ultima incursione nel repertorio solista con “AKA... What A Life”.
Poi, prima dell'omaggio ai Beatles con “All You Need Is Love” che manda tutti a casa, quel coro che non poteva mancare arriva liberatorio, scaccia via le angosce di un decennio e prova a smaltire mille sbornie: “Per favore non mettere la tua vita nelle mani di una rock band, che te la butterà via” e infine “Don’t look back in anger. Non guardare indietro con rabbia. Almeno non oggi”.
Lorenzo Mei
Scaletta
Fort Knox
Holy Mountain
Keep On Reaching
It's a Beautiful World
She Taught Me How to Fly
Black Star Dancing
Rattling Rose
Dead in the water
The Importance of Being Idle
Little by Little
Whatever
The Masterplan
Half the World Away
Wonderwall
Stop Crying Your Heart Out
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AKA... What a Life!
Don't Look Back in Anger
All You Need Is Love
(rockol.it)
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Prima di lui ad aprire la serata del Pistoia Blues i Ramona Flowers, una delle band di punta della nuova scena indipendente britannica, guidata dal frontman Steve Bird. Ma la vera star della serata non può che essere Gallagher, uno degli artisti inglesi più amati di sempre e uno degli autori più talentuosi, vera e propria icona degli anni '90. Dopo i trionfi ottenuti con gli Oasis, Noel Gallagher ha fatto sognare i suoi fan con tre album da solista, protagonisti della performance pistoiese di fronte a 3.500 spettatori. Noel rivolge pochissime parole al proprio pubblico, mentre i fan approfittano degli intervalli tra una canzone e l’altra per intonare cori e richiamare l'attenzione della star. Dietro Gallagher soltanto uno schermo su cui sono proiettate immagini in pieno stile anni '90.
Nella prima parte del concerto il re del Britpop regala al pubblico una carrellata di brani come Holy Mountain, il primo singolo dell’ultimo album, ma anche Keep on Reaching, Black star dancing e She taught me how to fly tutte provenienti dall’esperienza musicale maturata con gli High Flying Birds. Poi accade l’inevitabile: l’attualità lascia spazio alla storia. Gallagher cambia registro sulle note di The Importance of Being Idle, la prima canzone dell’indimenticata rock band fondata dai fratelli Gallagher. Da qui parte una serie di brani degli Oasis, da Little By Little, suonata con un arrangiamento che fa impazzire i fan, ad Half the World Away, passando per la mitica Wonderwall e Don't Look Back in Anger che rappresentano il momento più alto ed emozionante della serata.
Dopo circa un’ora e mezzo, e 17 canzoni, Gallagher si congeda dalla platea di Pistoia, rimasta incantata di fronte alla voce e alla presenza scenica della popstar inglese. Non prima però di aver intonato la cover dei Beatles All You Need Is Love con cui dallo scorso anno Noel si diverte a chiudere i suoi show. Oggi Pistoia si riposa, riprende fiato, in attesa, mercoledì 10 luglio, di ascoltare Ben Harper e i suoi The Innocent Criminals che chiuderanno questa 40esima edizione del festival.
(La Gazzetta di Parma)
(La Gazzetta di Parma)
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Noel Gallagher’s High Flying Birds al Pistoia Blues
Fresco di pubblicazione del primo dei tre EP previsti in uscita entro l’anno – Black Star Dancing – The Chief in full band (anche se mancava la “ragazza con le forbici”,
come ama chiamarla Our Kid Liam) nel nuovo assetto elettronico del suo
lavoro, Noel Gallagher compare sul palco in perfetto aplomb inglese.
Silenzioso, nemmeno una parola, solo una chitarra e quei “quattro accordi” che hanno scritto la storia della musica degli anni ’90. Fort Knox è il brano che tradizionalmente Sir Gallagher usa per rompere il ghiaccio, e cavallo che vince non si cambia.
“Hey hey
Continuo a resistere
A tenere duro…
Devi riprenderti
Devi riprenderti
Devi riprenderti…”
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Secondo brano, come la stessa posizione nell’album che lo contiene – insieme al precedente – è Holy Mountain, alla “sacralità” appunto dei suoi oscuri riff di chitarra da cui sembra non volersi proprio staccare. Al momento dell’uscita del disco “Who Built The Moon?” colpì la scelta di non lanciare come primo singolo la title track, ma questo brano, una scelta che Noel ha motivato come affettiva: prima canzone scritta con il suo produttore e brano preferito dei suoi figli. Insomma, nonostante sul palco sembri così eccessivamente concentrato ed imbolsito, Sir Gallagher nasconde una profonda anima sensibile e sentimentale (ragazzi lui è l’autore di Wonderwall, che insieme a La Cura di Battiato, sono le colonne sonore di almeno un amore di ognuno di noi…). C’è un salto di un brano dall’ultimo album, per arrivare alla volta di It’s A Beatiful World, caratterizzato dai suoi temi ambientali, che ci pone da sempre l’interrogativo su quale sia il destino del nostro mondo, forse quello di tornare da “chi ha costruito la luna”? L’ordine perfetto dell’album prosegue con She Taught Me How to Fly che chiude la fase Noel ex Oasis, per catapultarci poi in una discoteca a cielo aperto con la coinvolgentissima Black Star Dancing, title track dell’EP appena pubblicato, e brano che rompe con la tradizione brit pop di cui The Chief è il capostipite ed un new entry rispetto alla scaletta delle precedenti date di questo tour, Rattling Rose. Mi approccio a questi due brani in maniera un po’ scettica, riusciranno The Chief e i suoi a rendere elettronico un set così acustico? Ma Noel può tutto, anche grazie al fidato Gem Archer che – col piedino sulla drum machine – rende il tutto perfettamente organico e ben riuscito.
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La sera del primo ascolto live di questo brano era il compleanno del ragazzo con cui uscivo – mollato da li a poco per inseguire una chimera – e i nostri incontri sono sempre stati al mare. Ho sempre amato il mare, ho sempre pensato che la linea dell’orizzonte così irraggiungibile, che più avanzi per inseguirla più essa si allontana spostando il confine tra te e tutto quello che puoi toccare, sia la metafora perfetta di come bisognerebbe vivere, non accontentandosi e spostando sempre più avanti l’asticella dei propri sogni. E forse ho a cuore questo brano per questo motivo, la scelta – anche in quella circostanza – di non farmi bastare il poco e di meritare il tanto e per il mare, che resta comunque il filo rosso di quelle settimane.
Vi sembra abbastanza come racconto della preponderanza di Noel Gallagher nella mia vita? No, ancora non siamo arrivati al momento che tutti noi attendiamo: la mezzora nostalgica dei capolavori targati Oasis.
Un inizio affidato a brani che vedono Noel come unico protagonista, una setlist che sbatte subito in faccia ai presenti la carriera solista del grande dei Gallagher, quasi a ribadire che lui è qualcosa di solido anche dopo gli Oasis.
Quando mi fermo a riflettere sul perché certi artisti hanno bisogno di rinnegare il loro brand di fabbrica per dare un taglio nuovo alla propria arte e se il rischio di mandare tutto il successo del passato in fumo per un passo falso, un eccesso di megalomania, mi ricordo sempre di quando scrivevo i primi articoli alla fine del liceo, a rileggerli quindici anni dopo provo sicuramente tenerezza, ma non mi riconosco in vocaboli, sintassi, semplicità dei contenuti. È come quel vestito che hai nell’armadio, di cui eri follemente innamorata, che dopo anni di utilizzo, a provarlo oggi ti sembra un sacchetto dell’indifferenziato. Sono sicura che Noel non paragoni le sue iconiche canzoni a del pattume, ma ad uno che ha interrotto un tour a due date dalla fine (per quanto ti ami, non ti perdonerò mai di avermi negata la possibilità di vedervi per la prima volta dal vivo a Milano, a due giorni dal concerto), decidendo di lasciare il gruppo, puoi mai chiedere se ha paura di toppare?
Un tuffo nel passato: le hit degli Oasis
A proposito di digressioni sul passato, ecco il momento amarcord. The Importance of Being Idle, quinto brano del penultimo album della band (Oasis) “Don’t Believe The Truth”
è il gancio perfetto per passare dai successi solisti ai grandi
classici del gruppo di cui era fondatore e mente. Questo brano rientra
già nella fase più adulta della band, cantato anche ai tempi da Noel e
non dalla graffiante quanto profonda voce del reale frontman, Liam.
“Non posso farmi una vita se il mio cuore non è pronto”
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Nella cronologia artistica a ritroso è la volta di “Heathen Chemistry”, che lo scorso primo luglio ha compiuto diciassette anni e che abbiamo festeggiato con voi, album omaggiato con la celeberrima Little By Little. Un brano che non molto tempo fa ho dichiarato essere la colonna sonora della mia vita. Poco a poco, passo dopo passo. Ad ogni incrocio col destino.
“Poco a poco
i desideri della tua vita sono lentamente diminuiti
poco a poco
devi dare tutto in tutta la tua vita
e ogni volta mi chiedo perché
sei veramente qui”
Se finora tutti i brani in ascolto nascono già dalla voce di Noel, non è questo il caso delle prossime due: Whatever in combo con The Masterplan.
Esse sono sicuramente marchiate dalla timbrica di Liam, eppure
nell’arrangiamento proposto dal Chief, la sua voce riesce quasi a far
dimenticare la versione originale (peraltro quella di Whatever non è mai
stata pubblicata in alcun album, grande escluso di What’s The Story Morning Glory non troverà spazio nemmeno negli album del futuro) per anni propinataci anche dal centralino della Vodafone.
Finalmente è arrivato il momento della “mia” canzone, Half The World Away.
Lo scrivevo sui miei social qualche giorno fa: gli Oasis mi hanno
rovinato la vita, riuscendo ad incasellarsi a perfezione nei miei stati
d’animo, o me l’hanno salvata, in quei momenti così bui in cui fare la
più grossa delle cazzate sembrava l’unica soluzione, quando le crisi di
panico prendevano il sopravvento e ascoltarli risultava più efficace che
soffiare in un sacchetto.
Wonderwall e Stop Crying Your Heart Out: due hit senza tempo
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Noel, finora molto composto (dove sei finito ragazzaccio della periferia britannica?) accenna un sorriso sornione al suo pubblico dicendo: “questa la conoscete?”, ed è il momento della blasonatissima Wonderwall. La storia di questo brano, che parla di un ragazzo così innamorato della sua donna da incitarla dopo che lei ha perso il lavoro a non mollare, definendola “il muro portante” della sua vita. Guardo il telefono, lo prendo nell’intento di mandare un audio con questa canzone ad una persona. Deve essere bello quando quella frase arrivi ad una persona. Non a tutte. A una. Lo riposo, stasera non c’è spazio per nessun altro, siamo solo io e Noel. Il mondo fuori può aspettare, al di la di queste note. Segue Stop Crying Your Heart Out, che avrebbe meritato molto più spazio nella mia vita in questi anni, che è sempre stato recluso nel cassetto delle canzoni “che conoscono tutti”, come se l’essere pop(olare) fosse un difetto, un deficit di fabbrica. Una piazza intera stretta in coro sulle note dell’iconica doppia voce che simbolizza il dialogo fra qualcuno che sta mollando e una persona amata che lo incoraggia a tenere duro.
Dopo un apparente fine concerto, la ricomparsa sul palco della band di Noel Gallagher è targata ritorno al futuro con Aka… What a Life!; a chiudere il momento best ’90s è Don’t Look Back in Anger con in coda il classico omaggio ai Beatles con All You Need Is Love. Grande assente l’ultima creatura di Noel “Sail On”, ma sarà questa la scusa buona per ritornare in Italia nei prossimi mesi solo per farcela riascoltare?
La musica non è solo un’attività artistica ma è
anche e soprattutto una forma di comunicazione in grado di evocare e
rinforzare le emozioni. La
musica possiede un grande effetto evocativo, è in grado di entrare in
contatto con la nostra sfera più intima in modo del tutto naturale. L’importanza di un singolo artista nelle nostre vite gli esperti lo descrivono con una frase: “L’incontro, attribuito al caso, viene spesso presentato come un momento fondamentale che ha aperto una nuova vita”.
Fan non si nasce, lo si sceglie e poi lo si
diventa. E Noel Gallagher riesce a ricordarmi ogni volta, che ho fatto
proprio la scelta giusta.
Fabiana Criscuolo
(insidemusic.it)
Fabiana Criscuolo
(insidemusic.it)
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È la suggestiva cornice di Piazza del Duomo ad accogliere il ritorno in Italia di Noel Gallagher e dei suoi High Flying Birds, in occasione del quarto appuntamento del Pistoia Blues 2019, previsto per la serata dell’8 luglio.
Nella celebre venue toscana, ai piedi dell’imponente campanile,
inizia a radunarsi la prima schiena di fan, non appena arrivato il “via
libera” dell’apertura dei cancelli, nel tardo pomeriggio. Con mia grande
sorpresa, lo “zoccolo duro” della transenna e delle file immediatamente
successive è composto da ragazzi che non superano, di sicuro, i
venticinque anni. La dimostrazione che, da una parte, l’impronta degli Oasis ha suggellato (e continua a farlo)
anche le generazioni a venire, a partire dai gloriosi anni Novanta;
dall’altra, che la nuova e più personale direzione musicale intrapresa
dal maggiore dei fratelli Gallagher ha trovato un suo
terreno fertile, finalmente, nel presente. E poi i nostalgici che
sfoderano le vecchie maglie della band, famiglie, coppie di mezza età
che forse si sono innamorate su quelle canzoni prevenienti da
oltremanica, amici di lunga data del fan club e persino una
rappresentanza di tifosi del Pistoia che ricreano una familiare
atmosfera da stadio. C’è tutto. Ci siamo tutti.
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“Ci sono fan degli Oasis qui?” – boato – “Questa canzone è per voi”. Un’introduzione che spiazzato l’intera piazza ai primi accordi di Dead In The Water, appartenente al repertorio più recente dello Chief. Una ballata la cui versione ufficiale è quella registrata live at RTÉ 2fm Studios di Dublino e qui riproposta nella sua essenza: chitarra, voce impeccabile ed emozioni.
Un’anticipazione, in realtà, della sezione forse più attesa, quella dedicata ai successi degli Oasis. Su Little By Little i 3500 presenti esplodono in un applauso per poi cantare a memoria ogni singolo verso. Accade lo stesso con la dolce Whatever, mentre qualcuno vicino a me, all’annuncio di The Masterplan, afferma: “Ok, adesso si piange!”. A Manchester e a chi è giunto direttamente dalla città inglese è dedicata Half The World Away, metà di quel mondo che scompare all’inconfondibile intro di Wonderwall, il capolavoro del 1995
che Noel Gallagher canta in modo del tutto personale, quasi parlato. Ci
sono migliaia di voci ad accompagnarlo, una per ogni ricordo che questo
classico porta con sé, una per ogni foto, certezza, rimpianto attaccati
alla parete delle meraviglie. C’è chi si abbraccia, chi piange. E
proprio alle lacrime di un fan in prima fila, Chris, l’artista dedica Stop Crying Your Heart Out, per un’apparente chiusura da brividi.
Se, nell’encore, AKA… What A Life! si trasforma in un inno al Manchester City,
le cui sciarpe e maglie sventolano come bandiere tra i sostenitori, le
pennate decise sull’acustica dipingono i contorni di quello che sarà il
gran finale. È la volta di Don’t Look Back In Anger, del coro di “so Sally can wait”,
del monito di non affidare il proprio cuore a una rock band e della
consapevolezza di caderci sempre. Perché, in fondo, quello che torna
indietro è qualcosa di positivo, che conforta e unisce. L’ha
sottolineato anche Noel, scegliendo All You Need Is Love dei Beatles per salutare il pubblico italiano, definito il migliore di tutti. Un saluto, un “arrivederci”, un “grazie”
nel sorriso accennato che racchiude tutta l’emozione, tutta la
riconoscenza verso chi è, ancora, lì davanti ad applaudire. E non
servono altre dichiarazioni per lui che, scrivendo la canzone d’amore
per eccellenza, non mai menzionato l’amore come termine. Perché oltre
ogni “ti amo”, ci sono due parole che, insieme, hanno un immenso potere.
“After all”. Dopo tutto.
Laura Faccenda
(onstageweb.com)
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