Succede che a un certo punto della storia l’edonistico inno alla vita di Cigarettes & alcohol diventi un canto quasi politico, un inno sociale per una nuova generazione che si ribella al mito dell’efficienza ad ogni costo che ha stritolato le precedenti. “Vale la pena dannarsi per trovare un lavoro quando non c’è nulla per cui valga la pena lavorare?”, sibila Liam Gallagher oggi come trenta anni fa, quando la band che aveva formato in un grigio quartiere popolare alla periferia di Manchester stava per dare alla luce il disco di debutto per una etichetta indipendente.
Mamma Gallagher vive ancora nella stessa casa di Burnage, periferia operaia di Manchester, gli Oasis non esistono più, ma quello che ha rappresentato Definitely maybe per una città, una nazione, la scena musicale, si respira nell’aria di questo nuvoloso centro industriale del nord dell’Inghilterra che ha dato i natali a un sorprendente numero di band tra le più importanti della storia del rock. Gli Oasis ne sono stati la rappresentazione più popolare nel senso di successo ma anche di vicinanza al proprio popolo e Liam Gallagher è oggi il working class hero che alla Co-op Live Arena da profeta in patria chiude a Manchester un tour da 250mila spettatori e ogni data sold out (per ora solo inglese, c’è da augurarsi che anche l’Italia possa avere la sua parte in inverno) che riporta sui palchi quel disco davanti a tre o quattro generazioni, perché forse sorprendentemente il suo pubblico oggi è formato anche di ragazzi che all’epoca degli Oasis ancora non erano nemmeno stati concepiti.
I singoli, i classici, le b-side, demo mai ascoltate live prima di ora, canzoni tradizionalmente cantate dal fratello e ora fatte sue, nuove-vecchie versioni come l’incredibile “Columbia” ripescata dagli archivi delle sale prove di quando gli Oasis non li aveva mai ascoltati nessuno, in cui Liam - perché tutti qui lo chiamano solo per nome, come uno di famiglia, adorato figlio della città - finisce persino a cantare una strofa quasi rap. Chi mai lo avrebbe pronosticato, chi mai avrebbe solo osato sperare di sentire tanto ben di Dio dal vivo ancora una - o per la prima - volta quel giorno di agosto 2009 quando gli Oasis si separarono bruscamente. Oggi che i rumors di reunion si fanno più insistenti, vien da dire che non se ne sente il bisogno, il verbo è in buone mani così.
Definitely maybe può essere come no il miglior disco degli Oasis, ma di certo è il manifesto di tutto quello che sono e hanno rappresentato, nell’espressione più spontanea, onesta, la nemesi delle grandi star patinate americane e del rock intellettuale alla Radiohead, un’attitudine più vicina al punk che ai Beatles. E alla loro gente, virtualmente ancora quella della classe operaia e dei quartieri popolari, anche se il pubblico è diventato enorme e trasversale. Ma il suo essere in tutto diverso da ogni altra pop e rockstar globale Liam Gallagher lo mantiene, dall’outfit (abituati a vedere popstar che si cambiano d’abito dieci volte a concerto, lui per tutto il tour ha indossato lo stesso impermeabile nero) alla mancanza totale di diplomazia verso i colleghi, all’urgenza espressiva di far felici i fan senza bisogno di arruffianarseli (“Questa è l’ultima canzone davvero, mica siamo a un concerto dei Foo Fighters", dice prima dell’epica conclusione con la cover di I am the walrus, alludendo alla durata fiume degli show della band dell’amico Dave Grohl). Qui invece si tratta di 90 minuti più recupero, ma trovatelo in giro chi possa permettersi di suonare un’ora e mezza di soli brani da un unico album e le canzoni che da quel disco vennero escluse, trovando davanti a sé ventimila persone a sera che ne cantano ogni parola.
Così a Liam puoi pure perdonare una scenografia un pochino pacchiana tra mappamondi giganti e fenicotteri rosa, che ricorda più gli scatti d’estro drogato del tour di
Be here now che l’essenzialità di
Definitely maybe. Ma con tutte quelle canzoni messe lì in fila, suonate una dopo l’altra davanti a tre generazioni di pubblico, ti rendi conto che alla fine quello non era altro che un inconsapevole concept album sul passaggio all’età adulta, e forse per questo è dentro alle viscere di così tante persone, anche fuori da questa città orgogliosa e gelosa della sua diversità. Inizi dallo spirito sbruffone dell’adolescenza di Rock’n’roll Star, passi da una gioventù d’eccessi, sbronze, vita notturna, verso la ricerca di un lavoro, al precariato, perché in fondo Cigarettes & Alcohol è appunto anche questo. Poi trovi l’amore, da quello leggero e spensierato di Digsy’s Dinner, a quello solenne di Slide Away, fino a diventare una coppia che un tempo s’amava ma ormai s’è detta tutto e si fa bastare l’abitudine del volersi bene di Married with children. Sia un finale lieto o meno, difficile dirlo. Perché, in fondo, posso anche lamentarmi di te, dei tuoi libri, della tua musica, dei tuoi amici. Ma tanto “lo so che poi tornerò qui da te”. Come la sua gente torna sempre da Liam, e Liam dalla sua gente.
Luca Bortolotti
(Source: La Repubblica)
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